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IL DIALETTO DI MILLE LINGUE

In romanesco vi è un modo di dire che recita "Franza o Spagna, purché se magna". Potremmo dire che questo modo di dire andrebbe attribuito anche alla Sicilia, in quanto nel corso del tempo è stata conquistata da una miriade di popolazioni diverse: Greci, Romani, Arabi, Normanni, Aragonesi, Longobardi, Svevi, etc., che hanno influenzato profondamente ciò che ora chiamiamo "dialetto siciliano". Il siciliano fa parte della branca delle lingue romanze nel Proto-Indoeuropeo, più precisamente delle romanzo-occidentali, che successivamente si sarebbero evolute nell'Italiano volgare; però questo dialetto non è derivato dall'italiano, infatti alcuni etnologi lo considerano un idioma separato per via della sua morfologia, sintassi e fonetica. Ciò che possiamo riconoscere in questo dialetto, però, è la grandissima componente di parole che derivano da lingue parlate anche ai giorni nostri, come l'Arabo, il Tedesco, l'Italiano, il Francese, lo Spagnolo; per capire questa influenza linguistica dobbiamo tornare alle origini della Sicilia e fare un viaggio nel tempo fino ai giorni nostri.

  • In epoca antica i Greci inizialmente colonizzarono la parte orientale della Sicilia, la parte occidentale era occupata dai Cartaginesi; in seguito l'isola divenne provincia romana dopo la vittoria della Prima Guerra Punica.
  • Dopo la caduta dell'Impero Romano la Sicilia divenne territorio bizantino fino alla caduta dell'Impero di Bisanzio; successivamente vi furono tre secoli di dominazione araba, finché non divenne territorio normanno governato dai d'Altavilla; il dominio poi passò agli Angioini, anche loro francesi, ma vennero sconfitti dagli Aragonesi, provenienti dalla penisola iberica, e il loro dominio durò fino all'epoca Borbonica, quando la Sicilia venne riunita al Regno di Napoli per creare il Regno delle Due Sicilie.
  • Nella seconda metà dell'800 il Regno venne unito al resto dell'Italia per formare il Regno d'Italia grazie a Giuseppe Garibaldi e iniziò la diffusione della lingua italiana nell'isola.

INFLUENZE GRECHE:


  • babaluci/vavaluci: lumaca (da boubalàkion)
  • babbiari, da cui poi babbu: scherzare (da babazo)
  • crastu: montone (da krastòs)
  • tuppiari o tuppuliari: bussare (da typto)

INFLUENZE LATINE:

  • antura: poco fa (da ante oram)
  • unni o unna: dove? (da unde)

INFLUENZE ARABE:

  • cassata: una tipica torta siciliana alla ricotta (da qashada, in spagnolo invece quesada o quesadilla)
  • giuggiulena: seme di sesamo, giurgiulena (da giulgiulan)
  • mischiunu: povero, mischino (da miskin)
  • taliari: guardare, osservare (da talaya', torre, ma anche osservare, spiare)
  • limun: limone (da limuun)
  • giufà: uomo stupido (da djuhà)
  • tamarro: villano, rozzo (da tammar, mercanti di datteri)

INFLUENZE FRANCO-NORMANNE 

(normanno antico soprattutto):
Ruggero II viene incoronato da Gesù

  • accattari: comprare (normanno acater, francese moderno acheter)
  • ladiu o lariu: brutto (da laid)
  • racina: uva (da raisin)
  • appujari: appoggiare, poggiare (da appuyer)
  • raggia: rabbia (da rage)
  • travagghiari: lavorare (normanno travaller, francese moderno travailler, in spagnolo anche trabajar)

INFLUENZE IBERICHE (catalano e castigliano):

Carlo V

  • addunarisi: accorgersi (da adonar-se)
  • arriminari: mescolare, girare (da remenar)
  • priàrisi: rallegrarsi, vantarsi (da prear-se)
  • banna, in casi come ddabbanna o ccabbanna: là, qua (da banda, parte, si può ritrovare anche in provenzale)
  • stricari: strofinare (da estregar)
  • aeri: ieri (da ayer)
  • basca: malessere (da basca)
  • curtugghiu: cortile (da cortijo) / pettegolezzo (da cortilleo)
  • isari: alzare (da izar)
  • pignata: pentola (da piñata)
  • palumma: colomba (da paloma)
  • zita: fidanzata (da cita, appuntamento)
Le somiglianze del dialetto siciliano a questi dialetti regionali sono impressionanti, soprattutto quelle con i dialetti spagnoli a causa della loro lunga dominazione dell'Isola. Il dialetto siciliano, per via della sua ricchezza linguistica, venne incluso nel "De Vulgari Eloquentia" di Dante, il primo trattato linguistico nel Medioevo, scritto in latino ed indirizzato all'aristocrazia italiana. In questo trattato Dante si impone di trovare un volgare che sia illustre, perfetto, e nel farlo si accorge che né il suo amato toscano, né il siciliano, né il bolognese sono all'altezza di un simile compito, nonostante ognuno di loro abbia un'antica tradizione letteraria; Dante, quando parla della tradizione siciliana, si riferisce alla Scuola Siciliana, ovvero il circolo di poeti che si riunirono attorno a Federico II, e fu la prima scuola letteraria in assoluto a fiorire in Italia durante il Medioevo.
Il siciliano, tuttavia, sta subendo ai giorni nostri una sostituzione da parte dell'Italiano: sono sempre meno i giovani che parlano questo dialetto poiché non vengono a contatto con esso quotidianamente, come invece succedeva molto frequentemente ai nostri nonni, che probabilmente sapevano parlare solo il nostro antichissimo e prestigioso dialetto.



Articolo a cura di Giuseppe Barbagallo.

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