Nello scorso post abbiamo parlato della differenza tra alfabeto e abjad, e di come quest'ultimo funziona in Arabo ed Ebraico, due lingue grammaticalmente molto simili ma con sistemi di scrittura molto diversi e distanti tra di loro (per approfondire clicca qui).
Al mondo ci sono diversi esempi in cui per via della grammatica di una lingua si ricorre ad un particolare tipo di scrittura: un grande esempio di ciò è il Giapponese.
kawazu tobikomu mizu no oto
translitterazione del titolo di un haiku giapponese.
Come possiamo vedere abbiamo qui un ordine costante di consonante+vocale, anche se talvolta troviamo una vocale sola, oppure una sola consonante (nel caso del Giapponese la lettera n ん).
La lingua giapponese è composta quasi interamente di sillabe con una sola consonante ed una sola vocale; e nella lingua giapponese ci sono all'incirca 57 simboli per sillaba (contando solo hiragana o katakana).
Ciò ha senso solo per il Giapponese poiché la loro lingua è composta da un sistema di scrittura chiamato sillabario, dove abbiamo sempre un simbolo per ogni sillaba; quando usiamo questa scrittura è come se dovessimo pensare che ogni sillaba è un suono particolare. In questo caso sarebbe un inferno scrivere in italiano attraverso i sillabari, poiché le sillabe italiane sono molte di più di quelle giapponesi, a volte pure più complesse (i giapponesi usano però i katakana per traslitterare le parole di lingue straniere, anche se pure questo è un sistema sillabico, quindi una parola come precipitevolissimevolmente sarebbe プレチピテボリッシメボルメンテ/purechipiteborisshimeborumente/).
Per questo motivo, tutte le lingue del mondo riscontrerebbero problemi nella traslitterazione delle proprie parole, tranne il Giapponese, che infatti è l'unica lingua al mondo ad usare i sillabari.
Non sempre, però, una lingua è destinata ad usare un particolare tipo di scrittura in base alla propria grammatica: la maggior parte delle lingue dell'India sono molto simili grammaticalmente alle lingue europee (anche perché discendono tutte da una lingua madre chiamata Proto-Indoeuropeo, per approfondire clicca qui), ma nessuno di loro usa l'alfabeto.
Queste lingue, invece, usano gli abugida (pronuncia: abughida); questi tipi di scrittura hanno un simbolo per ogni consonante e non usano simboli propri per le vocali, ma le consonanti sono modificate in base a quali vocali vengono dopo di esse.
Mi avvarrò del Devanagari per spiegare gli abugida, poiché è quello più diffuso e si trova letteralmente ovunque in India; se non sapete o non ricordate quale sia è quello con una linea orizzontale continua che connette una lettera all'altra.
Al mondo ci sono diversi esempi in cui per via della grammatica di una lingua si ricorre ad un particolare tipo di scrittura: un grande esempio di ciò è il Giapponese.
kawazu tobikomu mizu no oto
translitterazione del titolo di un haiku giapponese.
Come possiamo vedere abbiamo qui un ordine costante di consonante+vocale, anche se talvolta troviamo una vocale sola, oppure una sola consonante (nel caso del Giapponese la lettera n ん).
La lingua giapponese è composta quasi interamente di sillabe con una sola consonante ed una sola vocale; e nella lingua giapponese ci sono all'incirca 57 simboli per sillaba (contando solo hiragana o katakana).
Ciò ha senso solo per il Giapponese poiché la loro lingua è composta da un sistema di scrittura chiamato sillabario, dove abbiamo sempre un simbolo per ogni sillaba; quando usiamo questa scrittura è come se dovessimo pensare che ogni sillaba è un suono particolare. In questo caso sarebbe un inferno scrivere in italiano attraverso i sillabari, poiché le sillabe italiane sono molte di più di quelle giapponesi, a volte pure più complesse (i giapponesi usano però i katakana per traslitterare le parole di lingue straniere, anche se pure questo è un sistema sillabico, quindi una parola come precipitevolissimevolmente sarebbe プレチピテボリッシメボルメンテ/purechipiteborisshimeborumente/).
Per questo motivo, tutte le lingue del mondo riscontrerebbero problemi nella traslitterazione delle proprie parole, tranne il Giapponese, che infatti è l'unica lingua al mondo ad usare i sillabari.
Non sempre, però, una lingua è destinata ad usare un particolare tipo di scrittura in base alla propria grammatica: la maggior parte delle lingue dell'India sono molto simili grammaticalmente alle lingue europee (anche perché discendono tutte da una lingua madre chiamata Proto-Indoeuropeo, per approfondire clicca qui), ma nessuno di loro usa l'alfabeto.
Queste lingue, invece, usano gli abugida (pronuncia: abughida); questi tipi di scrittura hanno un simbolo per ogni consonante e non usano simboli propri per le vocali, ma le consonanti sono modificate in base a quali vocali vengono dopo di esse.
Mi avvarrò del Devanagari per spiegare gli abugida, poiché è quello più diffuso e si trova letteralmente ovunque in India; se non sapete o non ricordate quale sia è quello con una linea orizzontale continua che connette una lettera all'altra.
- प lettera p con suono /p/;
- Se però aggiungiamo una a per formare pa diventa पा;
- Se aggiungiamo i per ottenere pi avremo पि;
- Se invece ci troviamo davanti a pu sarà पु, etc.
Ogni lettera funziona così, quindi di sicuro qualcuno starà pensando che funziona male allo stesso modo sei sillabari, ma in realtà bisogna solo memorizzare un simbolo particolare per ogni consonante ed ogni vocale, ma i simboli delle vocali sono come degli "extra" da aggiungere alle consonanti.
Quindi se gli abjad rappresentano un modo di pensare secondo cui le consonanti sono gli unici veri suoni e le vocali sono solo degli strani completamenti, gli abugida rappresentano un pensiero secondo il quale le vocali non sono suoni a sé stanti, ma delle caratteristiche della consonante che li precede.
Articolo a cura di Giuseppe Barbagallo.
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